Genere: alt-rock | Uscita: 5 giugno 2020
E’ ormai tradizione che, tra un disco degli Interpol e l’altro, Paul Banks si prenda una pausa dalla band di cui è principale rappresentante per esplorare nuove direzioni artistiche in autonomia. ‘Muzz‘, l’esordio dell’omonimo nuovo gruppo di cui fa parte, è il quarto album in 11 anni tra i suoi vari side-project, che siano completamente autonomi (con il moniker Julian Plenti nel 2009 o con quello più intuitivo di Banks nel 2012) o in compagnia (di RZA dei Wu-Tang Clan nei Banks & Steelz, 2016, o di musicisti amici come nell’LP in questione). Il progetto Muzz ha però radici ben più profonde di un divertissement da periodo di ridotta attività professionale. I semi furono gettati sin dai tempi del liceo, quando Paul e Josh Kaufman cominciarono a frequentarsi uniti da passioni comuni. Anche Matt Barrick, ex batterista di Walkmen e Jonathan Fire Eater, è conoscente di lunga data dei due, e tutti e tre insieme avevano già registrato dei demo in tempi non sospetti, addirittura cinque anni fa, nel 2015.
“Leonard Cohen, Neil Young, gli Stones e Dylan” sono i modelli di riferimento delle canzoni dei Muzz, “qualcosa per cui in tutti questi anni non ho avuto la possibilità di avere uno sbocco creativo“, osserva lo stesso Banks, che dunque si misura ancora una volta con qualcosa non preminentemente post-punk. Del resto la press-release della Matador Records ci tiene a sottolineare quanto il processo creativo sia stato condiviso, a tal punto che il biondo musicista newyorkese ha dovuto scendere a compromessi anche nella costruzione dei testi, solitamente di suo esclusivo appannaggio. Il suo timbro vocale di certo non può rendere solare alcuna composizione, ma i Muzz dipingono le proprie tinte sonore con diversi colori e grande varietà, dandogli la possibilità di mostrare un’inedita versatilità nella sua interpretazione.
È una continua ricalibrazione di elementi ricorrenti, tra art-rock, folk, psichedelia e anche un po’ del consueto post-punk, a rendere estremamente interessante ogni singola traccia di un disco che cresce parecchio con gli ascolti, mantenendo un marcato tratto distintivo in composizioni in cui i molti ingredienti sono dosati con grande misura, evidente merito della formata esperienza di Kaufman alla produzione (ha lavorato, tra gli altri, con National, Bob Weir, Hold Steady e War on Drugs) e dell’abilità dei musicisti coinvolti. È infatti piuttosto stupefacente notare come i singoli strumenti, che siano tastiere o fiati, riescano a divenire parte fondamentali di ciascuna tracce senza soverchiarne la componente cantautorale.
Si può dunque senza molti dubbi definire ‘Muzz‘ come il disco migliore di Banks fuori dagli Interpol, grazie a una scrittura che per il composito contributo non risulta mai banale né sottotono, e una estesa sensazione di coinvolgimento e dedizione a un progetto che è evidentemente andato molto a genio a tutti e tre i componenti della neonata band. ‘Bad Feeling‘, ‘Red Western Sky‘, ‘Everything Like It Used To Be‘, ‘Knuckleduster‘ suonano calde e curate come tutte quelle canzoni concepite in grande sintonia. Che si riesca così nitidamente a percepirlo non è cosa da poco.