Paul McCartney: ‘Egypt Station’ (Capitol, 2018)

Genere: pop/rock | Uscita: 7 settembre 2018

Nonostante i 76 anni compiuti a giugno, non si può certo dire che Paul McCartney non si mantenga al passo coi tempi: la promozione di ‘Egypt Station‘ ha fatto girare sul web due degli sketch più divertenti del 2018, il Carpool Karaoke con James Corden e il 30 Rock Elevators con Jimmy Fallon, ma sono necessariamente da menzionare anche l’amabilissima conversazione con Jarvis Cocker al Liverpool Institute of Performing Arts e il recentissimo live streaming del suo concerto alla Grand Central Station di New York. Insomma, per questo suo 25° LP post-Beatles (18 da solo, 7 con i Wings) è stata veicolata una campagna promozionale da grande star moderna.

Che questo nuovo album di McCartney avesse l’obbiettivo di diventare un blockbuster era facilmente intuibile anche dalla scelta dei produttori: il famigerato Greg Kurstin (Adele, Liam Gallgher, Chvrches), colui che fa diventare oro tutto ciò che tocca (dal punto di vista commerciale, molto meno da quello artistico) e il leader dei One Republic Ryan Tedder. In realtà l’idea del Nostro Eroe era quella di un concept album, una sorta di viaggio immaginario in cui ogni traccia doveva rappresentare una diversa stazione. In verità è molto difficile considerare ‘Egypt Station‘ come un insieme di composizioni legate tra loro: la varietà stilistica, di argomenti e di atmosfere lo rivela, molto più semplicemente, come la raccolta delle canzoni scritte da Paul negli ultimi cinque anni.

Mettere in mano le opere di una leggenda di tale calibro a due piazzisti come Kurstin e Tedder è un po’ come far cucinare il piatto di uno chef stellato a un inserviente di McDonald’s. E’ questo, probabilmente, il grande errore del progetto ‘Egypt Station‘: cercare di trasformare un seppur arzillo 76enne in una popstar contemporanea. Macca ci mette del suo, scrivendo testi con un ormone da 15enne, come nella terribile ‘Fuh You‘ (che Tedder evidentemente voleva far diventare un pezzo dei One Republic, con tutto ciò che sventuratamente ne può conseguire), e in ‘Come On To Me‘, due dei singoli più prevedibili della sua intera carriera, e non riuscendo ad auto-limitarsi nella composizione della scaletta (in cui i brani al netto degli interludi sono 14, ma quattro almeno si potevano sapientemente conservare per le B-side dei singoli).

Per fortuna, McCartney possiede ancora la sua proverbiale versatile creatività, così da riuscire a piazzare in tracklist anche qualche canzone all’altezza della sua storia: in genere, queste arrivano quando l’invadente produzione di Kurstin allenta un po’ la presa, lasciando la voce di Sir Paul a tu per tu con una chitarra acustica (‘Happy To You‘ e ‘Confidante‘) o un pianoforte (‘I Don’t Know‘ e ‘Hand In Hand‘). Verso la fine del disco fa capolino anche una po’ di imprevedibilità, e di conseguenza il Paul che più si fa apprezzare: la sghemba ‘Caesar Rock‘, la mutevole e complessa ‘Despite Repeated Warnings‘ e un medley conclusivo (‘Hunt You Down/Naked/C-Link‘), che non è certo quello di ‘Abbey Road‘ ma che dona comunque un po’ di respiro a un disco che, purtroppo, dà spesso e volentieri l’idea di essere stato mal indirizzato. E per uno come il sottoscritto, che conosce canzone per canzone l’intera discografia di McCartney dal ’70 a oggi, è molto triste constatare come ‘Egypt Station‘ sia il suo album peggiore.

VOTO: 🙁



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