St. Vincent: ‘Daddy’s Home’ (Loma Vista, 2021)

Genere: art-pop | Uscita: 14 maggio 2021

Nel 2019, il padre di Annie Clark, Richard, è uscito di prigione. Ci era finito circa 9 anni prima, coinvolto in un’inchiesta che lo aveva poi visto condannare per aggiotaggio e riciclaggio. Da qui il titolo di ‘Daddy’s Home‘, interpretabile in diverse accezioni: “papà è a casa” ma anche “la casa di papà”, il luogo in cui colei che sarebbe divenuta St. Vincent aveva ascoltato le prime canzoni della sua vita attraverso i vinili del genitore, quasi tutti risalenti alla prima metà degli anni ’70. Cose come Stevie Wonder, Steely Dan, Sly And The Family Stone: “Prima della disco, prima del punk. Quella musica risiede in me in modo profondo, è nelle mie orecchie“, racconta la musicista americana in questa intervista a The Forty Five.

È dunque un immaginario estremamente vintage che ha dipinto il concept musicale del suo sesto album in carriera, ideato e lavorato con il fedele Jack Antonoff, ghost-writer e produttore di pop-star come Lana Del Ray, Taylor Swift e Lorde, che con un’artista della personalità della Clark è indubbiamente costretto ad alzare l’asticella. Analogamente a quanto accaduto quattro anni fa per ‘Masseduction‘, l’influenza è reciproca, e il suono sedicentemente retrò congegnato per ‘Daddy’s Home‘ presenta la stessa patina zuccherosa da terzo decennio del terzo millennio che aveva avvolto anche l’electro-glam-rock del predecessore. È, se ci passate il paragone cinematografico, quanto riesce a Quentin Tarantino nei suoi film: rivisitare il passato anche dal punto di vista estetico, non così marcatamente da non apparire credibile ma con la giusta misura, grazie ad abili variazioni sul tema volte a supportare al meglio lo storytelling. Uno storytelling che nel caso di Annie non riguarda soltanto i testi delle sue canzoni, ma la creazione di veri e propri alter-ego, spesso associati a sfumature cromatiche ben definite: in questo disco siamo tra giallo e seppia, colorazioni che dipingono un epoca che fu e meglio definiscono “una raccolta di storie sul sentirsi a terra in giro per le strade di New York City: i tacchi della notte scorsa sul treno del mattino, il trucco di tre giorni prima ancora sul viso“.

Insomma, ciò che partorisce la mente di St. Vincent non è mai banale. Men che meno in questo lavoro, un ulteriore lodevole LP che rimane però leggermente al di sotto degli altissimi standard della cantautrice nata in Oklahoma. Un po’ per l’ultra-produzione di Antonoff, che la porta al confine del mainstream finendo per annacquarne dei racconti molto ispidi, che al di là delle metafore quasi mai erano stati così personali. Un po’ perché ‘Daddy’s Home‘ appare eccessivamente parodistico: alla stregua della parrucca bionda della copertina, finisce per mascherare la vera Annie Clark e parte del suo talento. Se il funk-pop di ‘Pay Your Way In Pain‘, lo pseudo-gospel di ‘The Melting Of The Sun‘, i barocchismi di ‘The Laughing Man‘ e le reinterpretazioni dell’easy-listening di ‘My Baby Wants A Baby‘ e ‘…At The Holiday Party‘ sono formalmente ineccepibili e creativamente mirabili, non mostrano il prorompente temperamento delle opere passate. Non un fattore che rende questo disco meno che ottimo (a scanso di equivoci, il voto rimane comunque alto), piuttosto la sensazione di una cura eccessiva della forma a scapito di un’auspicabile maggiore sostanza.

VOTO: 😀



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