Sufjan Stevens: ‘The Ascension’ (Asthmatic Kitty, 2020)

Genere: folktronica | Uscita: 25 settembre 2020

Che Sufjan Stevens non abbia propriamente il dono della sintesi è noto da tempo, sin da quando aveva in mente di scrivere un album per ogni Stato Unito d’America: sia ‘Michigan‘ (2003) che ‘Illinois‘ (2005), quelli che poi sarebbero rimasti gli unici due capitoli di quella improbabile impresa, superano abbondantemente l’ora, così come gli outtakes di quest’ultimo, ‘The Avalanche‘ (2006). Non è dunque un caso che ‘The Ascension‘, contato da Wikipedia (e ci fidiamo) come l’ottavo album in studio di una carriera certamente variegata, duri addirittura 80 minuti, quasi quanto una partita di calcio, praticamente il doppio del precedente, bellissimo e strappalacrime ‘Carrie & Lowell‘ (2015).

Rispetto a quell’album a rimanere invariata è soltanto la voce di Sufjan, per il resto il distacco da quelle spoglie e tristi ballate acustiche è evidente non soltanto dal minutaggio. Certamente, la formazione folk del cantautore di Detroit segna melodicamente anche il percorso di queste nuove composizioni, che sono però modellate da suoni sintetici non certo sopra le righe ma decisivi nel dare loro un diverso aspetto rispetto a quelle dello Stevens che abbiamo conosciuto nel recente passato: “Sono sempre pronto a fare qualcosa di nuovo (…) Non mi interessa diventare famoso o vendere milioni di dischi“, confessa in questa intervista al Guardian, che riflette anche sull’apparizione agli Oscar di due anni fa, “Onestamente, una delle esperienze più traumatiche della mia vita (…) c’era tutto quello che ho sempre odiato dell’America e della cultura popolare“. Una critica agli USA contemporanei che è presente diffusamente in questo lavoro, disilluso a tal punto “da essere spaventato nell’ammettere che non ci credo più“.

È questa assoluta allergia al compromesso, oltre che il pedissequo perseguimento della propria soddisfazione artistica, che ha reso Sufjan uno dei più stimati e ascoltati cantautori degli ultimi 20 anni. ‘The Ascension‘ fa parte del medesimo percorso, chiaro probabilmente soltanto al suo autore, che spariglia ancora una volta le carte abbracciando una psichedelia folktronica che flirta coi i downtempo di hip-hop e R&B. Al netto dei gusti meramente personali, è piuttosto evidente come fosse praticamente impossibile replicare un album assolutamente perfetto come il predecessore, a maggior ragione su una durata così dilatata. ‘The Ascension‘ paga anche un po’ la troppa carne al fuoco (‘Die Happy‘, ‘Ativan‘, ‘Landslide‘), l’eccessivo adeguamento a cliché produttivi contempranei (‘Video Games‘, ‘Ursa Major‘, ‘Sugar‘), sebbene in altre occasioni (‘Make Me An Offer I Cannot Refuse‘, ‘The Ascension‘, alcuni passaggi della lunghissima ‘America‘) mostri limpidamente il talento di Stevens, quello che trasmette emozioni e passioni forti. È dunque impossibile considerarlo un disco non riuscito, ma incostanza e ridondanza lo pongono un gradino sotto i grandi classici del cantautore americano.

VOTO: 🙂



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