U.S. Girls: ‘Heavy Light’ (4AD, 2020)

Genere: alt-pop | Uscita: 6 marzo 2020

La foto qui accanto (o qui sopra, se accedete da mobile) è l’immagine di profilo della pagina Facebook di U.S. Girls. Scattata durante le registrazioni di ‘Heavy Light‘, rende perfettamente l’idea della genesi dell’ottavo album in studio di Meghan Remy, il terzo da quando la sua carriera è svoltata grazie alla firma del contratto con la 4AD. Un turning point che ha consentito alla propria musica, da sempre estremamente composita, di arricchirsi di soluzioni di sempre più alto profilo, culminate con il miglior album della sua carriera, ‘A Poem Unlimited‘ del 2018.

Dal 4 tracce utilizzato per incidere ‘Gravel Days‘, il suo esordio del 2008, Meghan è passata ai 20 musicisti che hanno stipato l’Hotel2Tango, il famosissimo studio di Montreal fondato dai Godspeed You! Black Emperor, in cui in passato ha operato questa infinita lista di artisti. L’idea le era venuta durante il suo ultimo tour, sul cui palco hanno albergato continuativamente moltissimi colleghi: la coralità di esecuzione è infatti al centro del progetto ‘Heavy Light‘, per cui collettiva è stata anche la scrittura, con Rich Morel e nientemeno che Basia Bulat a coadiuvarla nell’ideazione delle sue nuove canzoni. A suonarle, rigorosamente in presa diretta, ci ha poi pensato il collettivo di cui sopra, del quale hanno fatto parte, tra gli altri, l’inseparabile marito Max Turnbull alla tastiere, James Baley e la stessa Bulat ai cori, Jake Clemons della E Street Band al sax e Tim Kingsbury degli Arcade Fire alla chitarra.

Il legame con l’LP precedente è del resto evidente sin dall’apertura ‘4 American Dollars‘, ballabile e Motown come molte delle tracce di ‘A Poem Unlimited‘. ‘Heavy Light‘ ne accentua ancor più l’accessibilità, rileggendo in questa direzione tre canzoni della precedente discografia della musicista di stanza a Toronto (‘Overtime‘, ‘State House‘ e ‘Red Ford Radio‘), e la cover di ‘Born To Lose‘ del poco conosciuto Jack Name. Considerati i tre brevi interludi, della scaletta di 13 tracce gli inediti rimangono soltanto sei, circostanza che non può non far pensare a un’uscita interlocutoria. In realtà, più che a livello compositivo, è proprio la sovrastruttura esecutiva che sembra aver interessato maggiormente colei che si fa chiamare U.S. Girls. Quest’album è un po’ come un suo musical, dove può agire da incontrastata protagonista, sostenuta dai coristi, che danno un diffuso tocco gospel a molte canzoni, dalle percussioni, che sottendono dinamicamente tantissimi dei brani in tracklist, e dal fondamentale accompagnamento delle tastiere del marito. Al centro della scena c’è però solo e soltanto la versatile Meghan, che seguita a lasciare a bocca aperta per intraprendenza e personalità, ma che, per precisa scelta stilistica, finisce per mantenere i propri standard creativi soltanto nell’alternative world-music di ‘And Yet It Moves / Y Se Mueve‘ e nello space-pop Broadwayiano di ‘The Quiver To The Bomb‘. Un po’ meno di quanto ci si sarebbe aspettati da un suo disco, ma sempre e comunque saldamente al di sopra della media.

VOTO: 🙂



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