Destroyer: ‘Labyrinthitis’ (Bella Union, 2022)

Genere: disco-rock | Uscita: 25 marzo 2022

Si trovavano uno di fronte all’altro, Dan Bejar e John Collins, durante l’isolamento causato dalla pandemia. Nella sua casa di Vancouver il primo, sull’Isola di Galliano, una lingua di terra lunga 28 chilometri raggiungibile piuttosto facilmente dalla costa canadese, il secondo. Si sono scambiati idee in smart working i due amici e abituali collaboratori, già insieme nei New Pornographers e per altri due LP a firma Destroyer, il celebrato ‘Kaputt‘ (2011) e il recente ‘Have We Met‘ (2020), pensando a quando sarebbero potuti tornare in un club a ballare: “John ha 50 anni, e io ci sono quasi, ma siamo soliti andarci“, racconta Bejar nella press-release. “Più nei club punk, ma i nostri punti di riferimento per questo album erano più fedeli alla disco.

Un “high-energy Cher record” è il testuale, preciso obbiettivo artistico che Dan e John volevano raggiungere con questo loro nuovo lavoro, ispirato (sempre secondo la nota stampa) anche da Art Of Noise e New Order. Un goal che doveva essere conseguito alla maniera di Destroyer, per cui con un disco un po’ arzigogolato, stratificato, non certo di facile assimilazione, e – novità – mai così suadentemente funky. Collins è prima di tutto un bassista, e già nell’LP di due anni fa aveva messo dentro un bel po’ di efficaci giri di basso, ma per l’occasione, anche grazie alla condivisione del concept danzereccio, si supera. Appare davvero come il riassunto di una serata in un club, ‘Labyrinthitis‘: parte compassato ma ficcante, si velocizza, chiude con un lentone da fine serata alcolica (‘The Last Song‘, uno dei pezzi migliori).

Tutto molto bello, curato, ma anche meno pretenzioso della media dei dischi del musicista canadese, con un paio di passaggi “ignoranti” (seppur in mezzo a una miriade di citazioni colte): il synth peso di ‘Tintoretto, It’s For You‘ e la soft-house di ‘Eat The Wine, Drink The Bread‘. Più in generale, è un lavoro per cui si batte spesso e volentieri il piedino (anche in due soft-rock ritmati come ‘Suffer‘ e ‘Pretty Dresses‘), ma è nei due singoli sopracitati, oltre che in brani come ‘It Takes A Thief‘ e ‘The States‘, che si raggiunge l’apice della festa, quasi si fosse al cospetto di un nuovo signing della DFA. Sopra beat, synth e percussioni, Bejar non tradisce la propria riconoscibilissima scrittura e la sua caratteristica interpretazione. Ne esce un ibrido tra passato e presente che del progetto Destroyer è un’ulteriore, inedita versione, divertente quanto appagante.

VOTO: 🙂



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