Genere: alternative-rock | Uscita: 7 ottobre 2022
Sono tra le giovani band, i Sorry, a cui ha toccato esordire in piena pandemia: ‘925‘, il loro apprezzatissimo debutto, era uscito ad aprile 2020, nel pieno della stagione dei lockdown. Asha Lorenz e Louis O’Bryen non l’hanno potuto suonare live nel momento di maggiore hype, ma non hanno smesso di comporre, captando ciò che stava succedendo intorno a loro in un momento così complesso, dai racconti della madre di Asha che assiste i malati terminali (‘Again‘), all’interruzione della relazione sentimentale della frontwoman (‘Let The Lights On‘). La pandemia gli ha dunque permesso di delineare ulteriormente uno stile di cantautorato che non è mai stato troppo convenzionale, sebbene possegga una sua peculiare fruibilità.
I Sorry seguitano a vagare tra i generi musicali anche in questo ‘Anywhere But Here‘, titolo che tradisce la stanzialità forzata nella città che li ha visti crescere, Londra. Sono nuovi racconti di vita urbana le 13 tracce della scaletta: “Se la nostra prima versione di Londra in ‘925’ era innocente e appariva ingenua, questa è più ruvida, ora è un posto molto più complicato“, spiega Louis, co-fondatore del gruppo, che ha prodotto il disco insieme all’amica di una vita, ad Ali Chant e ad Adrian Utley dei Portishead, per lavorare con il quale il quintetto si è spostato a Bristol. “Abbiamo approcciato l’album in modo diverso dal primo, è stato più un processo da live band e questo lo ha reso più crudo e sincero“, racconta la Lorenz. Carly Simon, Randy Newman, Slint, Tortoise, Kanye West e Capital Steez sono influenze egualmente citate nella press-release della Domino, un potpourri che dà l’idea di quanti spunti diversi vengano naturalmente combinati nella musica dei Sorry.
A parte l’opener e primo singolo ‘Let The Lights On‘ (“l’ultimo brano che abbiamo scritto, un pezzo da club“) il mood di ‘Anywhere But Here‘ è cupo e irrequieto, senza che manchi quell’empatia che solo i songwriter dotati sanno trasmettere. Come nell’esordio, anche questo sophomore serba diverse sorprese, da scovare piano piano, ascolto dopo ascolto. Ad esempio ‘Tell Me‘, in cui O’Bryen inizia a cantare scimiottando un crooner ma poi si trasforma in tutt’altra canzone. O la code rumorose che chiudono ‘Closer‘ e ‘Hem Of The Fray‘, il post-punk sui generis che segue al candore iniziale di ‘Baltimore‘, la versione decadente degli XX di ‘Screaming In The Rain‘. Sono tutti dettagli sonori che ripropongono la band londinese come unica nel proprio genere. Si parla tanto della mancanza di personalità e di originalità delle giovani generazioni di musicisti: i Sorry sembrano essere quell’eccezione che contraddice la regola.